In 3 sorsi – La Convenzione di Dublino, finalizzata a regolamentare la responsabilità dell’esame delle domande d’asilo all’interno dell’UE, ha bisogno di essere riformata.
1. PROTEZIONE INTERNAZIONALE E SUSSIDIARIA
In via di principio, se il cittadino di un Paese terzo entra nel territorio dell’Unione Europea senza un titolo di soggiorno è considerato “migrante irregolare”, salvo il caso in cui si applichino la protezione internazionale o sussidiaria. Secondo la Convenzione di Ginevra del ’51 e la direttiva UE 2011/95, la protezione internazionale è riconosciuta al cittadino di un Paese terzo che, per il fondato timore di essere perseguitato per motivi di razza, religione, nazionalità, opinione politica o appartenenza ad un determinato gruppo sociale, si trovi nell’impossibilità di far ritorno nel paese d’origine. Quanto al secondo tipo di protezione, si applica – a titolo, appunto, sussidiario rispetto alla prima – qualora la persona in questione tema un grave danno connesso al proprio rientro in patria (ad esempio, la condanna alla pena di morte o l’esecuzione della stessa).
Fig.1 – La normativa di Dublino disciplina la materia dell’asilo a livello di Unione Europea
2. DA DUBLINO I AD OGGI
L’accordo di Dublino, la cui prima versione risale al 1990, è stato sostituito dal regolamento UE 2003/343 (Dublino II) e, infine, dal regolamento UE 2013/604 (Dublino III), che disciplina il sistema di asilo dell’Unione Europea. L’attuale normativa si regge sul principio per cui l’obbligo di trattare una domanda d’asilo grava sullo Stato che ha svolto il ruolo più significativo nell’ingresso del migrante in Europa: quindi, tendenzialmente, lo Stato di primo accesso. Fino al 2017 veniva poi applicato un programma di “relocation”, un correttivo alla logica del primo ingresso. Quando il richiedente asilo proveniva da un Paese in condizioni critiche, tale che la probabilità che gli fosse offerta la protezione internazionale era del 75%, lo Stato incaricato dell’istanza d’asilo non era necessariamente quello di primo accesso, ma veniva individuato secondo un meccanismo di suddivisione dei migranti in quote, da ripartirsi tra gli Stati membri. Il criterio del primo ingresso resta, però, il più importante, addossando il peso del fenomeno in capo a Italia e Grecia, i Paesi europei più esposti ai flussi migratori provenienti dalla sponda sud-orientale del Mediterraneo. Proprio per risolvere tale squilibrio si è deciso, l’anno scorso, di sottoporre al giudizio del Parlamento Europeo una proposta di riforma della normativa di Dublino. Il progetto è tuttavia naufragato a causa dell’opposizione di Paesi come la Polonia, la Repubblica Ceca, la Slovacchia e l’Ungheria, contrari all’accoglienza dei migranti e ad una più equa ripartizione dei relativi oneri.
Fig.2 – La gestione dei flussi migratori ha causato non poche tensioni politiche all’interno dell’UE
3. IL CONSIGLIO EUROPEO DI GIUGNO: UN PASSO AVANTI O UNO INDIETRO?
Come si legge nelle Conclusioni del Consiglio europeo del 28 e 29 giugno scorsi, i leader UE insistono sulla necessità, da un lato, di proteggere le frontiere esterne dell’Unione e, dall’altro, di predisporre un nuovo sistema di regolamentazione delle domande d’asilo che poggi sul connubio di due principi: solidarietà e responsabilità. Ciò significa che ogni Stato membro è invitato a farsi carico della propria parte di responsabilità nella gestione del fenomeno migratorio, collaborando con gli altri e non trincerandosi dietro i propri esclusivi interessi. Insomma, si insiste sulla linea del fallito tentativo di riforma fallita del 2017, così da alleggerire gli oneri di Italia e Grecia, dare vita a un equo sistema europeo dell’asilo e, in ultima analisi, prevenire l’indebolimento dell’Unione. Rimane, tuttavia, ancora da verificare se il recente summit europeo porterà a risultati concreti sul fronte della modifica del sistema normativo di Dublino.
Roberta Bendinelli