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Sorrisi sul 38° parallelo: ma la pace è davvero vicina?

In 3 sorsiAlla fine si sono incontrati e hanno avuto il loro momento di gloria mediatica. Ma ora per Kim e Moon comincia la parte più difficile, cioè trasformare le intenzioni di pace in realtà politica concreta. E non potranno farlo senza l’assenso degli altri attori geopolitici presenti sulla penisola coreana, a cominciare dagli USA di Trump.

1. SPETTACOLO MEDIATICO

Alla fine il tanto atteso incontro tra Kim Jong-un e Moon Jae-in, negoziato pazientemente sin dalle Olimpiadi di Pyeongchang del febbraio scorso, è finalmente avvenuto. I leader delle due Coree si sono ritrovati faccia a faccia a Panmunjom e hanno fatto a modo loro la storia, con Kim che ha attraversato simbolicamente a piedi la zona demilitarizzata per stringere la mano a Moon in territorio sudcoreano. Suo padre Kim Jong-il – già protagonista di negoziati diplomatici con la Corea del Sud – non aveva mai fatto nulla di simile, e l’evento è stato a dir poco elettrizzante per i giornalisti e i fotografi presenti. Da lì lo spettacolo mediatico è continuato, con ulteriori strette di mano nella zona demilitarizzata e in territorio nordcoreano. Poi i due leader si sono recati lentamente verso la vicina Casa della Pace, sede dei loro colloqui diplomatici, e i delegati nordcoreani hanno ricevuto dei fiori dai bambini della scuola elementare di Daeseongdong, situata nella zona demilitarizzata. Nel frattempo una banda musicale ha eseguito una serie di canzoni tradizionali coreane, ricevendo l’apprezzamento personale di Kim. Dopo essere entrati nella Casa della Pace, Moon ha ancora posato con il suo ospite per alcune foto e poi ha dato il via ufficiale ai lavori del summit. Durante una pausa di tali lavori i due leader si sono ritrovati all’esterno per piantare insieme un pino, simbolo di pace e prosperità, e per scambiarsi ulteriori convenevoli in pubblico. A fine giornata hanno rilasciato un comunicato congiunto, in cui si impegnano a continuare a lavorare insieme per mettere fine alle ostilità tra i due Paesi, e si sono recati in una stanza vicina per una breve cena a base di rosti di patate (omaggio agli studi svizzeri di Kim), noodles e liquore nordcoreano. Tutto sapientemente studiato e coreografato nei minimi dettagli, in modo da inviare un potente messaggio mediatico di pace e armonia intercoreani.

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Fig. 1 – Il Presidente sudcoreano Moon lascia Seul per incontrare Kim a Panmunjom, 27 aprile 2018

2. DUBBI E RISERVATEZZA

Nonostante l’atmosfera irenica, però, gli osservatori più smaliziati non hanno potuto non notare la grande prudenza e riservatezza con cui si sono svolti i colloqui del vertice. Anzitutto, il numero di partecipanti è stato estremamente ristretto: oltre a Kim e Moon, erano presenti solo due-tre persone per parte, inclusi l’onnipresente Kim Yong-jo (sorella minore di Kim) e il consigliere per la sicurezza nazionale sudcoreano Chung Eui-yong (protagonista chiave delle precedenti trattative con Pyongyang). Inoltre le discussioni sono avvenute a porte chiuse, con la stampa tenuta rigorosamente a distanza dalla Casa della Pace e richiamata solo per le foto di rito. Il risultato è che, a dispetto dei toni retorici dei comunicati ufficiali, si sa poco o nulla delle decisioni concrete prese nel summit. A cominiciare dalla questione più spinosa, cioè il futuro dell’asenale nucleare nordcoreano. Verrà smantellato? E se sì, che contropartita chiederà in cambio Kim? Nelle sue dichiarazioni pre-vertice Moon ha detto che Pyongyang non vuole il ritiro del contingente militare statunitense presente in Corea del Sud, perseguendo genuinamente l’obiettivo di una denuclearizzazione pacifica della penisola coreana. Ma sembra un’affermazione poco convincente e, anche se fosse vera, è altamente improbabile che il regime di Pyongyang smantelli unilateralmente il suo deterrente nucleare senza alcuna garanzia valida sulla propria sicurezza. Anche le concessioni fatte finora da Kim sul tema sono state minimali e calibrate per ottenere il proseguimento dei negoziati con Seul e Washington. Lo “storico” annuncio sulla sospensione del suo programma balistico e nucleare dei giorni scorsi, ad esempio, è stata solo la conferma formale di una decisione già presa dal regime nell’autunno scorso dopo il successo dei suoi ultimi test. E la probabile chiusura del sito di Punggye-ri è più frutto del suo degrado post-test che di una reale volontà nordcoreana di smantellare le proprie testate nucleari. Kim non ha quindi concesso nulla di significativo su questo punto e attende di incontrare Trump prima di fare promesse più serie. Stesso discorso sul tema della riunificazione delle due Coree, discusso come cosa ormai fatta da molti giornalisti italiani ma di fatto ancora avvolto nella vaghezza più assoluta. Ammesso che avvenga nel prossimo futuro, su quali basi politiche e economiche verrà portata avanti? Con che tempi e con quali costi? Anche qui le domande sono finora rimaste senza risposta e il vertice di Panmunjom non è parso dare indicazioni chiare sull’argomento, al di là della retorica ottimista dei due leader e della promessa di contatti più stretti tra i due Paesi.

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Fig. 2 – L’esultanza dei due leader alla fine del summit alla Casa della Pace, 27 aprile 2018

3. UNA PARTITA COMPLESSA

La verità è che i negoziati intercoreani dipendono strettamente da quelli Washington-Pyongyang sulla denuclearizzazione e dall’assenso degli altri attori geopolitici regionali (Cina, Russia, Giappone) a un eventuale accordo di pace tra Seul e Pyongyang. Né Kim né Moon possono agire indipendentemente dai complicati calcoli strategici e diplomatici internazionali sul futuro della penisola coreana; possono dare il via alle trattative ma devono poi attendere le azioni e reazioni dei loro alleati o vicini prima di proseguire sul cammino intrapreso. Da questo punto di vista, l’atteggiamento di Trump continua a rappresentare una seria incognita e il suo obiettivo “massimalista” di ottenere un’eliminazione totale, immediata e unilaterale dell’arsenale nucleare nordcoreano potrebbe far fallire sul nascere qualsiasi negoziato con Pyongyang. E resta anche da capire che ruolo assumerà la Cina di Xi Jinping nella vicenda, soprattutto dopo la visita a sorpresa di Kim a Pechino del mese scorso e le nuove tensioni con Washington in Asia orientale. Dietro i sorrisi e le strette di mano di Panmunjom, per quanto “storici” possano essere, si gioca quindi una partita complessa e piena di incognite che potrebbe portare a esiti completamente diversi da quelli auspicati in queste ore. Sarà il prossimo vertice tra Kim e Trump di inizio giugno a illuminare meglio la strada che gli eventi prenderanno. La storia ha tempi lunghi, soprattutto sulla penisola coreana.

Simone Pelizza

[box type=”shadow” align=”aligncenter” class=”” width=””]Un chicco in più

È ancora incerta la sede del prossimo incontro tra Trump e Kim. Nelle scorse settimane si era parlato anche della Polonia, ma ciò sembra improbabile per la difficoltà personale e logistica del leader nordcoreano a viaggiare così lontano dal proprio Paese. Più probabile quindi la stessa Panmunjom o la Mongolia, che ha sempre mantenuto un atteggiamento relativamente neutrale nella lunga guerra fredda tra Washington e Pyongyang. [/box]

 

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Simone Pelizza
Simone Pelizzahttp://independent.academia.edu/simonepelizza

Piemontese doc, mi sono laureato in Storia all’Università Cattolica di Milano e ho poi proseguito gli studi in Gran Bretagna. Dal 2014 faccio parte de Il Caffè Geopolitico dove mi occupo principalmente di Asia e Russia, aree al centro dei miei interessi da diversi anni.
Nel tempo libero leggo, bevo caffè (ovviamente) e faccio lunghe passeggiate. Sogno di andare in Giappone e spero di realizzare presto tale proposito. Nel frattempo ho avuto modo di conoscere e apprezzare la Cina, che ho visitato negli anni scorsi per lavoro.

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