Ristretto – Nasce PESCO (PErmanent Structured COoperation), uno strumento per la cooperazione europea in materia di difesa. Salutato come primo passo per avvicinarsi a future “Forze Armate Europee”, evita invece ancora il vero nodo alla base: la diversità di vedute europee sul tema
PESCO però è, di fatto, un progetto a basso profilo. Ha una reale utilità ma ha anche limiti pratici che lo rendono, al momento, poco più di uno strumento di facciata. C’è una frase chiave nel PESCO factsheet che spiega questo: “PESCO is a Treaty-based framework and process to deepen defence cooperation amongst EU Member States who are capable and willing to do so.” (PESCO è una infrastruttura e un processo, basati su un Trattato, [creato] per approfondire la cooperazione di difesa tra gli Stati Membri UE che siano capaci e intenzionati a farlo).
“Che siano (…) intenzionati a farlo” è ovviamente la frase chiave e riprende quella che è la maggiore problematica relativa a una futura struttura di difesa UE, qualunque essa possa essere. I Paesi UE non avrebbero necessariamente bisogno di PESCO per creare una forza armata europea. La struttura dei Battlegroups europei, forze armate già pronte all’azione rapida in caso di necessità, è già una struttura potenzialmente efficace. Ma dipende tutto dalla volontà politica dei singoli Paesi membri di usare tale strumento; tale volontà, spesso soggetta a interessi divergenti in politica estera, di fatto non si concretizza mai in un intento condiviso e, pertanto, gli strumenti esistenti restano inutilizzati.
Questo è il vero ostacolo alla formazione di FF.AA. europee: non la mancanza di strumenti pratici, ma la mancanza di una volontà politica condivisa. Il che, ovviamente, deriva dalla mancanza di una politica estera e di sicurezza comune (basti pensare alle divergenze Francia-Italia su un teatro fondamentale per noi come quello libico).
Ciò rende PESCO uno strumento altrettanto spuntato. Serve se gli Stati europei hanno intenzioni di usarlo per realizzare qualcosa insieme. La domanda da porsi prima per capirne la rilevanza dunque è proprio questa: che cosa gli Stati europei sono disposti a realizzare insieme? La risposta differirà da Paese a Paese. Anche i rapporti con la NATO hanno un peso in tali considerazioni.
Tuttavia PESCO non è del tutto inutile: la sua è una struttura “a progetto”, con la quale i Paesi UE possono collaborare su singoli progetti di interesse; non è rivolto a ottenere un’integrazione tra le FF.AA dei singoli stati. Perciò è assolutamente plausibile che gli Stati Membri si trovino concordi nello sviluppare progetti specifici limitati ad aspetti di supporto (pensiamo al recente sviluppo dell’Air Transport Command) ed è possibile che PESCO, rispetto agli strumenti precedenti, ne permetta uno svolgimento più fluido e organizzato.
Se invece non si vedrà la luce di alcuna cooperazione seria nei prossimi 5-10 anni o se le cooperazioni realizzate invece di avvicinare i Paesi li allontaneranno a causa di competizione tra progetti, allora PESCO si rivelerà un fallimento.
In ogni caso, meglio non credere che la nascita di PESCO sia l’anteprima della creazione di una struttura di comando e controllo condiviso che abbia un reale peso – come spiegato sopra le differenze di veduta sono ancora troppe.
Aggiungiamo una valutazione un po’ azzardata, ma che ha senso notare: a seconda della traiettoria dell’UE nei prossimi anni (immaginando quindi che la cooperazione europea non crolli) il valore di PESCO risiede nel lungo e lunghissimo periodo. Se mai gli Stati UE dovessero davvero decidere in un’integrazione maggiore tra le proprie FF.AA., PESCO e iniziative analoghe permetterebbero di avere una base di progetti comuni sopra i quali costruire l’integrazione ulteriore. Tuttavia non è da ignorare che l’esistenza di un motivo così forte da spingere gli Stati Membri dell’UE a creare davvero una tale integrazione potrebbe essere anche più preoccupante delle sfide attuali
Lorenzo Nannetti
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