La Brexit è una sfida non solo per il Regno Unito, ma anche per l’intero progetto di integrazione comunitaria e uno stimolo per un ripensamento complessivo. Ne abbiamo parlato con l’On. Daniele Capezzone, autore di un nuovo, interessante libro sul tema
La Brexit è stata vissuta come uno choc inatteso sul continente europeo. Dopo anni di integrazione e allargamento, l’Unione Europea è in procinto di perdere un pezzo estremamente rilevante sia per il suo peso politico-economico che storico. Il dibattito, però, si è concentrato soprattutto sulla critica a quello che è stato considerato un miope errore britannico piĂą che sulle ragioni di tale evoluzione e sui possibili mea culpa da rivolgere a Bruxelles. Spesso, inoltre, le discussioni sono apparse a senso unico, poco capaci – e, forse, interessate – a comprendere le ragioni che hanno spinto la maggioranza dei cittadini del Regno Unito a optare per la Brexit. Discutiamo di queste dinamiche con l’On. Daniele Capezzone (Direzione Italia) il cui libro (“Brexit. La sfida”), appena uscito e prodotto insieme a Federico Punzi, si pone proprio l’obiettivo di raccontare l’altro volto del voto inglese al fine di comprendere le ragioni dello stesso e il possibile futuro dell’Europa.
1. Per iniziare, On. Capezzone, quali sono le ragioni che vi hanno spinti a narrare “l’altra” Brexit? Cosa non vi ha convinto del dibattito italiano ed europeo?
Ci è sembrato che la classe politica, i mainstream media e l’establishment stessero raccontando le cose in termini di anatema e superstizione. Ciò impedisce alle Ă©lite politiche e giornalistiche di capire cosa accade davvero: non è successo solo per Brexit, ma anche per Trump o per il referendum italiano del 4 dicembre. La prima regola è capire, ma alcuni sembrano interessati piĂą alla propaganda che all’analisi.
2. Per quale ragione i cittadini del Regno Unito hanno optato per uscire dall’Unione Europea? Quali sono, secondo lei, gli elementi principali dietro a tale scelta?
L’espressione chiave è take control back. Avere di nuovo il controllo delle politiche economiche e dell’immigrazione. Gli elettori britannici diventano (giustamente) matti all’idea che competenze così rilevanti finiscano nella “nebbia” di Bruxelles, senza una possibilitĂ di chiara accountability. Vogliono politici nazionali che ne rispondano, che possano essere direttamente chiamati in causa e giudicati.
3. Quali lezioni dovrebbe trarne Bruxelles e quali i restanti Paesi membri?
Bruxelles dovrebbe rispettare, per prima cosa, un voto popolare: cosa a cui l’Ue è sempre meno abituata. Gli altri Paesi (a cominciare dall’Italia), anzichĂ© demonizzare, dovrebbero trarre dal negoziato Londra-Bruxelles l’occasione per innescare un altro negoziato, stavolta tra i 27 membri che restano, sulle regole della futura convivenza. Cambiare i trattati, tutti. E l’occasione è favolosa: si tratta nei prossimi mesi di inserire o no il Fiscal Compact nei Trattati. Punzi ed io siamo contrari. Ma ciò che conta è che per farlo serve l’unanimitĂ : ergo, l’Italia potrebbe giocare la carta del veto, cercare alleanze intelligenti, insomma fare politica.
4. Per Londra si apre un futuro complesso e irto di ostacoli, a partire dalla relazione che avrà con l’Unione Europea. Come vede il futuro del Regno Unito in relazione all’Europa?
Londra vuole avere scambi commerciali con l’UE senza amalgamarsi politicamente. Mi sembra legittimo. L’UK ha creato in cinque anni piĂą posti di lavoro degli altri 27 paesi UE messi insieme. Solo Londra genera 1.000 posti di lavoro al giorno, con un tempo di attesa per trovare lavoro di appena tre giorni. Logico che vogliano esser dinamici, non rallentati dal passo lento europeo. Il loro sogno è quello di una Global Britain capace di commerciare con tutti: UE, USA, Asia, e così via. Ovvio che le incognite non mancheranno, però mi sembra un’aspirazione sensata e motivata.
5. La decisione di uscire dall’UE è stata alimentata anche da una certa convinzione nelle possibilità di Londra di sfruttare l’Anglosfera – la rete di rapporti privilegiati con i Paesi anglofoni – come parziale sostituzione all’attuale relazione con il continente europeo. La ritiene una via percorribile?
PiĂą che sostituzione, direi aggiunta e accelerazione. GiĂ nel primo incontro May-Trump di alcuni mesi fa i due leader hanno parlato di un accordo commerciale USA-UK. Tenga presente che l’UE non è riuscita a concludere nulla sul TTIP, il trattato commerciale con gli Stati Uniti. Poteva piacere o no, ma la sua “morte” mostra che non è certo colpa degli inglesi se l’Europa non sembra sufficientemente dinamica sul terreno del commercio internazionale.
6. Ritiene che in seguito alla Brexit Londra e Washington stabiliranno relazioni ancora più solide? Quale potrebbe essere l’impatto sull’Europa?
Detto con molta franchezza: se l’Europa divenisse un protettorato tedesco, questo tipo di connotazione non credo piacerebbe a nessuno: nĂ© a Washington nĂ© ad altri player di altri continenti. Questo va detto con rispetto ma con fermezza agli amici tedeschi: se pensano all’Unione Europea come a una specie di “grande giardino” germanico non fanno il bene del continente, nĂ© sul piano economico nĂ© su quello geopolitico.
7. A proposito di Washington, allarghiamo lo sguardo. L’elezione di Donald Trump è stata interpretata con canoni simili a quelli usati per la Brexit, canoni che forse non sono capaci di afferrare nel profondo le dinamiche che hanno portato alla vittoria del tycoon. Qual è l’elemento che, secondo lei, andrebbe maggiormente considerato nello spiegare il successo di Trump?
C’è un immenso ceto medio e medio basso impaurito, impoverito, e… molto arrabbiato. Per anni, il clintonismo e l’obamismo hanno totalmente cancellato dall’agenda mediatica quei disagi, quelle domande, quelle ansie dell’America profonda. Era evidente che prima o poi quegli elettori si sarebbero presi una “vendetta”. E hanno fatto bene! Il dramma del mondo democratico e dei loro media di riferimento (CNN, New York Times, Washington Post) è che ancora non vengono a patti con questa realtĂ . Pensano di esorcizzarla, di rimuoverla, di negarla…
8. Nel libro da lei curato si parla del ritorno della questione tedesca. Quale significato ha nello scenario europeo?
In particolare Punzi scrive un saggio di altissimo livello su questo tema. Lo dicevamo prima: se l’UE assume i contorni di una specie di “Germania allargata”, si tratta di un errore politico e storico dalle conseguenze drammatiche. Non voglio svelare la sorpresa, ma nel libro riveliamo le riflessioni della signora Thatcher nel 1989, al momento della caduta del Muro e della riunificazione tedesca…
9. Siamo quasi in conclusione. Venendo al nostro Paese come immagina il ruolo dell’Italia nell’Unione Europea? E, più in generale, nel Vecchio Continente?
O rinegoziamo con la schiena dritta., oppure finiremo a fare… il “catering” (“good food and good wine, please“) a favore di tedeschi e francesi. Nel secondo caso, la terribile immagine di Metternich (“Italia espressione geografica”) tornerĂ di tragica attualitĂ . Ecco perchĂ© dovremmo essere piĂą dinamici e meno schematici: mantenere un rapporto forte con l’Anglosfera, con i Paesi dell’Est Europa, con i paesi del Mediterraneo. Per disegnare un contrappeso e un riequilibrio rispetto all’asse franco-tedesco.
10. Ultima domanda. Quale sarà il futuro dell’Unione Europea? Quale sarebbe il percorso virtuoso? Quale quello sconsigliabile?
Quello da evitare come la peste è il superstato-UE con ministro delle finanze unico: la chiamano “armonizzazione” ma sarebbe la camicia di forza finale. Quello auspicabile è invece un sistema piĂą flessibile, che riconosca le diversitĂ (confederazione) e che scelga la via della competizione fiscale tra stati e territori, premiando i sistemi a tasse basse e regolazione leggera, capaci di funzionare come modello per gli altri sulla strada virtuosa dell’attrazione di risorse e investimenti privati.
Simone Zuccarelli
Il Caffè Geopolitico desidera ringraziare l’onorevole Capezzone per la sua disponibilitĂ e cortesia nell’averci concesso questa intervista.
[box type=”shadow” align=”aligncenter” class=”” width=””]Un chicco in piĂą
Daniele Capezzone è parlamentare della Repubblica Italiana e direttore di New Direction Italia, ramo italiano di New Direction, fondazione nata nel 2010 con il patrocinio di Margaret Thatcher.   [/box]