In 3 sorsi – La politica di Trump contro il Messico rischia di trasformare un solido amico degli USA in un destabilizzante avversario
1. UN PASSATO DIFFICILE – «Povero Messico: così lontano da Dio, e così vicino agli Stati Uniti!». Con queste parole Porfirio Diaz, autoritario Presidente del Messico dal 1876 al 1880 ed ancora dal 1884 al 1911, definiva l’infausta posizione del suo Paese nei confronti dell’ingombrante vicino. Già allora gli Stati Uniti, non ancora prima potenza del globo, avevano ingerito pesantemente nella storia del Messico. Prima si erano annessi la ex-provincia ribelle del Texas e poi, nel 1848, avevano inferto un’umiliante sconfitta militare al Paese, privandolo di tutti i territori settentrionali (divenuti poi gli Stati di California, Nevada, Utah, Colorado, Arizona e Nuovo Messico). Negli anni successivi, il peso degli Stati Uniti nella vita del Messico non ha fatto altro che crescere, tanto che i rapporti con Washington sono diventati una questione fondamentale sia a livello politico, che a livello identitario.
Secondo Samuel Huntington, autore del famoso e controverso “Lo scontro delle civiltà”, il Messico è un Paese in bilico, dilaniato tra l’identità (o civiltà) latinoamericana e quella nordamericana. Questa dicotomia sarebbe una delle principali cause forgianti della politica e postura internazionale tenuta dal Messico per tutto il corso del ‘900. Il Partito Rivoluzionario Istituzionale, (PRI) al potere ininterrottamente dal 1929 al 2000, ha tenuto un comportamento abbastanza altalenante, alternando momenti di collaborazione con gli USA a momenti di opposizione, marcati inoltre dal tentativo messicano di perseguire una politica indipendente e da potenza regionale. Solo nel 1992 il Messico riconobbe di non poter eludere l’influenza della prima economia del pianeta e decise di legarsi a filo doppio con Washington, firmando insieme anche al Canada il NAFTA, un trattato di libero scambio entrato in vigore dal 1994. Il rapporto tra i due Paesi si è mantenuto, almeno a livello istituzionale, molto stretto e cordiale, nonostante le numerose recriminazioni da parte di segmenti delle due opinioni pubbliche. Da parte degli USA, si è spesso criticata la mancanza di collaborazione delle autorità messicane nella lotta contro il narcotraffico e contro l’immigrazione clandestina, mentre i sindacati, ben prima di Trump, hanno spesso accusato il NAFTA di essere una delle cause del crollo della produzione industriale a stelle e strisce. Da parte messicana, invece, molte sono le lamentele contro la concorrenza sleale USA in vari importanti settori, come quello agricolo, e contro le soventi violazioni della sovranità statale.
Fig. 1 – I tre leader del NAFTA, Peña Nieto, Trudeau, Obama
2. “MR TRUMP, BUILD UP THIS WALL” – Questo scenario di collaborazione si è tuttavia infranto già da due anni, ovvero da quando l’ancora candidato Donald Trump ha iniziato a scagliarsi contro il vicino meridionale. Tre le sue proposte più controverse, c’è il progetto di voler “murare” completamente il confine tra Messico ed USA con la costruzione di un muro completamente a spese messicane e la ferma volontà politica di rinegoziare il NAFTA, a suo dire la causa del declino del settore industriale del proprio Paese. Queste posizioni politiche, sono state accompagnate da espressioni umilianti nei confronti del Messico, del suo Governo e della sua popolazione in generale, spesso oggetti di scherno e disprezzo. Di fronte all’allora candidato, il Governo messicano aveva adottato un atteggiamento cauto e conciliatorio, arrivando nell’ottobre del 2016 ad invitare il magnate a Città del Messico. Il tentativo di “ammorbidire” la posizione di Trump si concluse con un nulla di fatto tra l’ostilità e le proteste della popolazione, che costrinsero l’allora Ministro delle Finanze Luis Videgaray alle dimissioni. Una volta diventato Presidente, Trump non ha minimamente annacquato le sue posizioni: insiste sul muro e sulla necessità di rivedere il NAFTA in termini più favorevoli agli USA, mentre al tempo stesso promette di espellere milioni di immigrati “latinos” dal Paese e scoraggia le aziende USA ad investire in Messico, minacciando tasse aggiuntive. Qualche giorno prima della visita programmata del Presidente Peña Nieto, Trump ha addirittura affermato che il collega messicano poteva anche risparmiarsi il disturbo di venire, se non voleva accollarsi i costi del muro, costringendo di fatto il Presidente messicano ad annullare il viaggio.
Nonostante tutti questi insulti, il Governo del PRI ha mantenuto un atteggiamento cauto e mite, evitando denunce internazionali o posizioni troppo critiche verso Washington.
Fig. 2 – Una protesta messicana contro Trump ed il suo progetto di muro
3. ANCHE IL MESSICO VA AL VOTO – Il delicato problema del rapporto da tenere con l’amministrazione USA appare come uno dei terreni di scontro più caldi anche nelle prossime elezioni presidenziali. Nel 2018, infatti, popolo messicano infatti sarà chiamato ad eleggere il proprio Presidente in un’elezione che si preannuncia già complessa ed incandescente. Secondo la Costituzione, Peña Nieto non può ricandidarsi, ed è pertanto necessario trovare un’altra figura all’interno del PRI. Tra i nomi più papabili, troviamo Miguel Osorio Chong, attuale Ministro degli Interni, e Luis Videgaray, uscito dalla porta come Ministro dell’Economia e rientrato dalla finestra come Ministro degli Esteri. Da parte dell’opposizione, è abbastanza sicura la (terza) candidatura di Andrés Manul López Obrador, a capo del MORENA (Movimento di Rinnovazione Nazionale), mentre nel PAN (Partito di Azione Nazionale), si è parlato di Margarita Zavala Gómez, sposa dell’ex Presidente Calderón, come possibile candidata.
A oggi, una vittoria di un candidato del PRI appare molto difficile, a causa del basso tasso di gradimento del Governo attuale, legato alla continua violenza che insanguina il Paese, alla corruzione pervasiva ed alla decisione di aumentare i prezzi di alcuni beni primari, tra cui il costo della benzina e del gas. Anche sul tema del rapporto con Trump, la mitezza del Governo è costata al PRI la perdita di molti elettori.
Al contrario, la strada per i candidati dell’opposizione sembra molto più semplice, anche grazie alla possibilità fin troppo semplice far leva sul senso di umiliazione del popolo di fronte ai continui insulti di Trump per guadagnare voti promettendo politiche meno accondiscendenti. Già Andrés Manuel López Obrador, universalmente conosciuto come AMLO, si è mosso in questa direzione, proponendo al Governo un’opportuna (o opportunistica) alleanza generale “patriottica”, e promettendo contemporaneamente alle piazze una politica più “forte”.
Fig.3 – Il candidato presidenziale Obrador durante un comizio.
Un’eventuale vittoria di un candidato anti-USA provocherebbe certamente un peggioramento nelle relazioni tra i due Paesi, rendendo molto più difficile la lotta contro l’immigrazione clandestina o contro il traffico di stupefacenti, questioni complesse che richiedono il maggior grado di collaborazione possibile tra tutti gli attori coinvolti. Il rischio finale, sarebbe quello di vedere ristabilirsi un clima di scontro e la rottura del rapporto di collaborazione tra Messico e Stati Uniti, scardinando uno dei principali perni del continente.
Umberto Guzzardi
[box type=”shadow” align=”aligncenter” class=”” width=””]Un chicco in più er una prima analisi del NAFTA e dei suoi effetti, si rimanda a questo articolo [/box]
Foto di copertina di VV Nincic rilasciata con licenza