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“Fortress Europe” Come procede il Piano d’Azione UE-Turchia? (I)

In 3 sorsi – «Nei suoi incessanti tentativi di impedire gli ingressi irregolari in Europa, l’Unione europea si è ostinata a rappresentare quanto sta accadendo in Turchia in modo del tutto diverso. È probabile che il nuovo sistema d’asilo, nel Paese che ospita il più ampio numero di rifugiati al mondo, farà fatica a funzionare. Se da un lato è importante sostenere e incoraggiare la Turchia a dotarsi di un sistema d’asilo perfettamente funzionante, l’Unione europea non può comportarsi come se quel sistema fosse già in vigore» – John Dalhuisen, direttore di Amnesty International per l’Europa

1. LA PROSPETTIVA ISTITUZIONALE – Dalla piena operatività della Dichiarazione UE-Turchia (in vigore dal 20 marzo 2016), la Commissione ha riportato 3 osservazioni sullo stato d’attuazione del Piano d’azione comune UE- Turchia risalenti rispettivamente al 20 aprile, al 15 giugno ed al settembre 2016. I report ufficiali forniti dall’istituzione hanno il difetto di concentrarsi sui freddi dati numerici – presentando un’immigrazione in cifre e non in vite umane –, ma non per questo vanno sminuiti della loro funzionalità. In generale, i dati forniti creano un’impressione positiva: si è infatti registrata una netta diminuzione degli attraversamenti, con una media di circa 81 arrivi al giorno dalla Turchia nelle isole greche, e del numero di morti (solo 11 persone hanno perduto la vita nel Mar Egeo nel periodo successivo alla dichiarazione). L’importo totale stanziato per l’assistenza umanitaria e non, ha raggiunto 2,239 miliardi di euro per il 2016-2017 (avvicinandosi al tetto massimo previsto di 3 miliardi) e gli sforzi compiuti per controllare i flussi nel Mar Egeo non hanno prodotto finora lo sviluppo di rotte alternative dalla Turchia. Tuttavia, il persistere di un afflusso notevole di persone verso l’Austria e la Germania rivela qualche falla nel sistema di sorveglianza delle frontiere e pone nuovamente l’accendo sulla necessità di una maggiore cooperazione e scambio di informazioni tra Paesi come la Turchia, la Serbia, Bulgaria e l’ex Repubblica jugoslava di Macedonia. Rimangono però tre incrinature fondamentali sufficienti a far scricchiolare l’intero impianto:

  • Le strutture di accoglienza sulle isole greche sono sottoposte a ingenti pressioni. Il costante flusso di arrivi e il ritmo lento dei rimpatri hanno posto a dura prova le capacità di accoglienza e di trattamento delle domande d’asilo sulle isole greche. Gli hotspot in Grecia sono ormai una pentola bollente che sta per esplodere: il sovraffollamento si trascina alle spalle criminalità, corruzione, povertà e malattie. È sufficiente pensare che al 27 settembre 2016 erano presenti sulle isole greche 13.863 migranti, quasi il doppio rispetto alla capienza delle strutture di accoglienza, progettate per un numero massimo di 7.450 persone.
  • I rinvii dalla Grecia alla Turchia procedono a rilento. Il numero totale di migranti rinviati nel periodo successivo alla dichiarazione si attesta a settembre di quest’anno a 578. In tutto sono stati rinviati dalla Grecia in Turchia nel corso del 2016 più di 1.600 migranti irregolari.
  • Il reinsediamento “uno a uno” dalla Turchia nell’UE è insufficiente: Il piano prevede che l’UE reinsedi un siriano dalla Turchia nell’UE per ogni siriano rinviato in Turchia dalle isole greche. A tal fine, una squadra è stata istituita dalla Commissione presso la delegazione dell’UE ad Ankara che coordina e coadiuva le operazioni degli Stati membri e i rapporti con le autorità turche, l’UNHCR e l’OIM. Secondo gli ultimi dati, al 26 settembre 1.614 siriani erano stati reinsediati nell’UE, un numero insufficiente paragonato al totale degli arrivi.

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Fig. 1 – Un rifugiato Siriano appena entrato in Turchia

2. LA SITUAZIONE UMANITARIA – Nonostante l’instaurazione di un nuovo sistema d’accoglienza in Turchia, con l’approvazione della prima legge nazionale in materia Law on Foreigners and International Protection” (2013), diverse organizzazioni tra cui Amnesty International, UNHCR, OIM e Human Rights Watch continuano a denunciare l’illegalità dell’accordo stipulato, preoccupanti violazioni dei diritti umani e a riportare gravi carenze nel sistema delineato soprattutto per quanto riguarda l’inadeguatezza del sistema d’asilo costituito. Le capacità d’accoglienza e d’asilo della penisola anatolica sono compromesse dalla presenza di oltre tre milioni di richiedenti asilo e rifugiati (2.750.000 rifugiati siriani e 400.000 richiedenti asilo e rifugiati provenienti soprattutto da Afghanistan, Iraq e Iran). Durante il limbo giuridico che intrappola i rifugiati anche per anni, peraltro destando dubbi sulla qualità del processo decisionale, la Turchia non è in grado di dare riparo a tutti e i campi profughi collocati a sud-est stanno raggiungendo condizioni umanitarie ignobili. Chi non trova un rifugio è abbandonato a sè stesso, un abbandono che porta con sè disagi, povertà e criminalità oltre che un incremento del numero di bambini costretti a lavorare per mantenere le loro famiglie. Ma l’accoglienza non è l’unica lacuna del sistema turco. La nuova legge approvata prevede la concessione dello status completo di rifugiato solo alle persone proveniente da un Paese europeo, mentre ai non-europei è concesso solo uno status di protezione temporanea (“conditional refugees”) in attesa che vengano rimpatriati in un Paese terzo. Afghani, iracheni e iraniani sono considerati solo residenti temporanei e non possono quindi beneficiare del sistema di integrazione anche a livello lavorativo. Inoltre, nonostante l’accordo con l’Unione Europea garantisca la tutela dei rifugiati siriani, la protezione concessa dalla Turchia a questi ultimi rimane temporanea e può essere sospesa tramite decisione unilaterale del Consiglio dei Ministri con il conseguente obbligo di abbandonare il Paese. A completare le fila di questo allarmante quadro umanitario, vi sono numerosi report che testimoniano gravi incidenti, respingimenti e rimpatri forzati avvenuti lungo il confine turco-siriano nel corso di tutto il 2016. Innanzitutto, le politiche sempre più restrittive sui controlli di frontiera hanno portato la Turchia a costruire un muro per fermare gli attraversamenti illegali e la minaccia terroristica provenienti dalla Siria con l’intenzione di prolungarlo fino a 900km. Human Rights Watch ha poi testimoniato innumerevoli episodi di violenza da parte delle autorità di Ankara dislocate lungo la frontiera siriana, e in base alle informazioni raccolte numerosi rifugiati siriani tra cui donne e bambini sono stati uccisi o feriti gravemente nel tentativo disperato di varcare il confine. Inoltre, ad aprile di quest’anno, Amnesty a denunciato numerosi episodi di respingimento operati dalle autorità turche. Secondo i dati raccolti almeno 100 persone al giorno vengono espulse verso la Siria in grave violazione del diritto internazionale – che vieta severamente il rimpatrio forzato verso un Paese terzo non sicuro.

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Fig. 2 – Fila di persone proveniente da diversi paesi del Medio Oriente in attesa di entrare in Turchia

3. IL GIOCO DELLO “SCARICAMIGRANTE” – La strategia che ha fatto da guida al piano d’azione Turchia-UE non è nuova e può essere collocata nell’ampio quadro del GAMM (Global approach to migration and mobility) operativo dal 2005. L’approccio tattico delineato dalle istituzioni europee individua nella cooperazione con i Paesi di origine o di transito dei flussi una componente fondamentale per la battaglia all’immigrazione irregolare. Il fondamento ideologico e logico sta nell’affrontare le cause della migrazione all’origine ed approcciarsi al problema in una prospettiva di lungo termine – che quindi non si limiti al controllo frontaliero, ma che preveda dialogo, cooperazione operativa e governance cogestita con i Paesi d’origine e transito, al fine di formulare accordi riammissione e di rimpatrio degli immigrati entrati nell’Unione illegalmente e di promuovere lo sviluppo in tali Paesi terzi. I bei principi sulla carta destano tuttavia numerosi dubbi ad oggi non dissipati. L’approccio delineato prevede l’utilizzo di risorse finanziare per incentivare la collaborazione di Paesi terzi di transito ai quali, sulla base di accordi bilaterali o multilaterali, si commissiona il compito di bloccare i flussi migratori irregolari e di deportare nei Paesi di origine quanti si accingono a partire verso le frontiere europee. Il tutto in collaborazione con Paesi, di transito o di provenienza, talvolta governati da regimi dittatoriali che non rispettano i diritti fondamentali della persona umana. È questo il caso della Turchia? La pulizia operata da Erdoğan dopo il tentativo di colpo di stato del 15 luglio 2016 ha solo palesato la verità che si era tentata di nascondere nell’ombra: la Turchia non può essere qualificata come Paese terzo sicuro, democratico e rispettoso dei diritti umani verso il quale rinviare milioni di rifugiati in cerca di aiuto. La necessità di gestire l’emergenza migratoria e umanitaria, concatenata all’impossibilità di controllare i flussi e di agire congiuntamente seguendo un unico binario strategico, ha portato l’Unione a concludere un accordo dall’alto potenziale, ma non alle condizioni date. Una maggiore sorveglianza e una più forte sollecitazione della comunità europea e internazionale sono necessarie per incentivare il processo di riforma del sistema d’asilo turco e operare da deterrenti verso comportamenti illeciti da parte delle autorità di Ankara. Non si può voltarsi dall’altra parte, ignorando ciò che accade alle nostre porte; questo accordo non ha sradicato il problema delle enormi masse di persone che fuggono dal terrore, dalla fame e dalla povertà che stanno devastando il Medio Oriente, ma ha solamente “dislocato” le responsabilità connesse all’accoglienza e all’asilo dall’Unione Europea verso la Turchia. “Lo scaricamigrante” sarà anche una strategia efficace dal punto di vista numerico (gli arrivi in Europa si sono effettivamente ridotti), ma non si può affermare altrettanto dal punt0 di vista umano.

Valentina Revelli

[box type=”shadow” align=”aligncenter” class=”” width=””]Un chicco in più

La stipulazione del piano comune tra la Turchia e l’UE ha un prezzo. L’accordo impegna la Turchia ad arginare il flusso di immigrati irregolari e assicurare assistenza ai rifugiati siriani, ma dal suo canto Ankara ha domandato in cambio il rilancio del processo di adesione all’Unione Europea ed una graduale liberalizzazione dei visti per i cittadini turchi. Entrambi i negoziati stanno procedendo a rilento.[/box]

Foto di copertina di Mustafa Khayat Rilasciata su Flickr con licenza Attribution-NoDerivs License

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Valentina Revelli
Valentina Revelli

Laureata in Scienze politiche e delle Relazioni Internazionali con un Master in management politico, è da sempre appassionata per lo studio delle Lingue, della Geopolitica e degli Affari Esteri. Formata da diverse esperienze multiculturali, tra cui un lungo periodo di studio in Turchia, e animata da una forte vocazione per la tutela dei Diritti Umani. Al momento segue il corso di laurea magistrale a Bruxelles: “Relazioni Internazionali: Sicurezza Pace e Conflitti”, con l’intenzione di specializzarsi in EuroMediterranean studies.

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