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Il profilo di Boko Haram

Boko Haram agisce in Nigeria, ma recentemente ha cominciato a estendersi anche ai Paesi limitrofi, con basi in Camerun, Ciad e Niger. Dal 2009 la formazione ha ucciso oltre 7mila persone – 2mila solo negli attacchi del gennaio 2015, – rapendone centinaia (comprese le 276 studentesse di Chibok) e costringendone alla fuga almeno un milione e mezzo

IDEOLOGIA – Ci sono due aspetti da tenere presenti per comprendere la base teorica di Boko Haram: l’Islam e la Storia della Nigeria. Già di per sé il nome è significativo, una locuzione composta da un termine nella locale lingua hausa (boko) e da uno in arabo (haram), che più o meno può essere tradotta come “L’educazione occidentale è peccato”. Formalmente, però, l’organizzazione si chiama Jamā‘atu Ahli is-Sunnah lid-Da‘wati wal-Jihād, cioè Popolo per la Predicazione degli insegnamenti del Profeta e del Jihad. La denominazione aiuta a comprendere la peculiarità di Boko Haram, che unisce la dimensione etnica all’estremismo islamico. La Nigeria è un Paese molto complesso e, di fatto, diviso tra il Nordest musulmano ed economicamente più arretrato e il Sudovest costiero, cristiano e più sviluppato. Già all’epoca del dominio coloniale britannico il termine boko (“falso”) era attribuito agli istituti scolastici (makaranta) che tenevano le lezioni in inglese e proponevano un programma laico di studi. Ecco perché boko è tradotto con “educazione occidentale”. Boko Haram è stato fondato a Maiduguri, città nella quale Mohammed Yusuf, musulmano sunnita, predicava la necessità di applicare integralmente la legge shariatica. Dal 2008-2009 l’ideologia del gruppo ha virato definitivamente verso il salafismo jihadista, con l’influenza di figure legate al wahabismo. Tuttavia Boko Haram si richiama direttamente anche al passato della Nigeria settentrionale quale insieme di entità sovrane musulmane, in particolare i Regni hausa e il Califfato di Sokoto, sorto dal jihad di Shehu Usuman Dan Fodio, che all’inizio dell’Ottocento creò un Impero che riuniva decine di emirati, poi conquistato dai britannici nel 1903. Boko Haram cerca di legittimare la propria azione anche con la necessità di ripristinare la storica indipendenza musulmana della Nigeria nordorientale, evidenziando come la condizione di povertà diffusa sia diretta conseguenza dell’influenza straniera e della tirannia dell’élite cristiana. Non è un caso, quindi, se all’interno del gruppo ci siano correnti che legano il jihad a obiettivi di redistribuzione della ricchezza o che antepongono la causa nazionalistica a quella religiosa.

Fedeli radunati in moschea nazionale di Abuja in attesa del Sultano di Sokoto, Sa’adu Abubakar

ORGANIZZAZIONE – La struttura di Boko Haram non è del tutto chiara, ma è probabile che gli 8-10mila membri del gruppo siano organizzati con un sistema di cellule collegate tra loro in modo più o meno diretto. Analogamente non è semplice definire se il ruolo dei vertici sia operativo o motivazionale: Shekau, per esempio, non parla mai direttamente con i combattenti (quasi tutti di etnia kanuri), ma solo con pochi uomini fidati, i quali a loro volta riportano gli ordini. Piuttosto evidente, invece, è il sistema che garantisce il finanziamento di Boko Haram: rapimenti a scopo d’estorsione e vendita di ostaggi ad altri gruppi (generalmente della galassia che orbita a margine del Sahel in Camerun, Ciad, Niger e Burkina Faso), traffico di droga (trasporto degli stupefacenti sudamericani dall’Africa centro-occidentale verso il Maghreb), rapine, contrabbando e bracconaggio (coinvolgimento nella caccia agli elefanti in Camerun). Non bisogna dimenticare poi che Boko Haram può contare sul finanziamento da parte di esponenti di primo piano della vita nigeriana desiderosi di diminuire il controllo dello Stato centrale per perseguire i propri interessi. Infine, come spesso accade per i gruppi terroristici islamici, il denaro circola tramite il metodo dell’hawala, divenendo irrintracciabile.

L’iniziativa internazionale “Bring back our girls” seguì il rapimento di massa di 276 studentesse

AMMINISTRAZIONE TERRITORIALE – Assai scarse sono le testimonianze sull’amministrazione della vita quotidiana nelle aree controllate direttamente da Boko Haram, ossia il territorio nel quale i miliziani hanno dichiarato ad agosto l’istituzione di un Califfato (diverse città negli Stati di Adamawa e Yobe e circa metà dello Stato di Borno). La maggior parte degli abitanti delle zone conquistate, infatti, fugge rapidamente, ma i pochi testimoni disposti a parlare hanno riportato informazioni interessanti. Il primo elemento è la rigida applicazione della shari’a, con tanto di pene corporali e amputazioni. In secondo luogo, Boko Haram tende a favorire le attività tradizionali (soprattutto l’agricoltura), imponendo invece severe restrizioni a commercio e servizi. Infine, è peculiare che spesso i combattenti preferiscano ritirarsi dopo gli attacchi, lasciando solo pochi uomini nelle città conquistate, cosicché in alcune circostanze la presenza di Boko Haram si è tramutata in posti di blocco nelle strade e in tribunali improvvisati nelle piazze, senza alcun tentativo di concreta amministrazione.

 

L’area di Borno è quella su cui Boko Haram ha maggiormente attecchito

MODUS OPERANDI – Il modus operandi di Boko Haram è la violenza indiscriminata. Nell’arco degli ultimi cinque anni il gruppo ha condotto azioni di vario tipo, mantenendo costante la strategia di colpire sempre nel modo più sanguinario possibile. Boko Haram ha alternato operazioni militari su vasta scala per la conquista di città del Nordest a tecniche di guerriglia con ripiegamento rapido in Camerun; attentati suicidi ad autobombe; raid nei mercati a esecuzioni sommarie di viaggiatori. Addirittura non è chiaro quale livello dell’organizzazione sia deputato a pianificare gli attentati, né se da Shekau arrivino indicazioni specifiche. Ci si potrebbe chiedere se i fatti di questi giorni, con il massacro di interi villaggi e l’impiego di bambine per attacchi suicidi, rappresentino un cambio di rotta per Boko Haram. La risposta è molto semplice ed è negativa, poiché se da un lato non si tratta di fenomeni nuovi – è aumentata solo la copertura mediatica degli eventi, – dall’altro lato l’elevazione della violenza a metodo principale priva gli osservatori di punti di riferimento. Considerato che il 14 febbraio si terranno le delicate elezioni presidenziali, che lo sviluppo dinamico della Nigeria (prima economia africana) potrebbe essere il vero nemico del terrorismo e che la popolazione del Nordest è tendenzialmente ostile – sebbene passiva – verso Boko Haram, non è da escludersi una violenza sempre maggiore.

Un cingolato distrutto nel corso dei combattimenti tra Boko Haram e l’esercito nigeriano

OBIETTIVI – In realtà il controllo territoriale del Nordest e l’imposizione della legge shariatica non sono obiettivi di Boko Haram nell’immediato, anche se rimangono lo scopo principale dell’organizzazione: l’azione quotidiana ambisce alla sconfitta dello Stato e al raggiungimento di una condizione di anarchia violenta permanente, preliminari all’inevitabile applicazione integrale del diritto islamico. La Nigeria è un Paese di 175 milioni di abitanti diviso religiosamente, etnicamente ed economicamente tra Nord e Sud. Boko Haram mira a distruggere le Istituzioni intese come forme organizzative sacrileghe di origine coloniale e non conformi alla tradizione nigeriana per ritornare al passato islamico. In questo contesto ci sono due aspetti da tenere di conto, ossia che i musulmani fedeli allo Stato sono considerati nemici e che importanti esponenti della politica e dell’economia del Nordest svolgono un ruolo attivo di facilitazione del gruppo, per creare potentati locali senza il controllo di Abuja. Ecco perché, nonostante l’imponente budget della Difesa nigeriana, l’azione delle Forze Armate resta spesso circoscritta e inefficace: i primi alleati di Boko Haram sono la dilagante corruzione e la frattura socio-economica tra Nord e Sud. Ultimamente, però, si sta notando nel gruppo un fenomeno già riscontrato in Somalia con al-Shabaab, cioè il confronto tra due correnti interne. La prima ha una vocazione internazionalistica e intende il jihad in ottica globale, puntando al rafforzamento dei legami con al-Qaida e con lo Stato Islamico. La seconda, invece, propende per un’interpretazione nazionalistica del jihad: la mèta è la liberazione del Nordest dalle influenze straniere e la ricostituzione di quel Califfato che fu uno dei più potenti imperi della Storia africana.

Soldato nigeriano in pattugliamento. L’operato delle Forze Armate è inficiato da corruzione e collusione

Beniamino Franceschini

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Un chicco in più

Questo articolo è parte dello speciale Boko Haram affligge l’Africa, uno speciale in cui vi spieghiamo perché il gruppo fondamentalista è una minaccia non solo per il continente africano ma per la comunità internazionale.

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Beniamino Franceschini
Beniamino Franceschini

Classe 1986, vivo sulla Costa degli Etruschi, in Toscana. Laureato in Studi Internazionali all’Università di Pisa, sono docente di Geopolitica presso la Scuola Superiore per Mediatori Linguistici di Pisa. Mi occupo come libero professionista di analisi politica (con focus sull’Africa subsahariana), formazione e consulenza aziendale. Sono vicepresidente del Caffè Geopolitico e coordinatore del desk Africa.

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