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Rivoluzione Verde e globalizzazione, la “Democrazia della Terra” di Vandana Shiva

Le recensioni del Caffè – Vedere il pianeta come una grande comunità e come un bene comune inalienabile e, per questo, inevitabilmente orientato alla democrazia. Questa la visione, ecumenica e localistica, di Vandana Shiva, ambientalista indiana.

TRASFORMARE IL PATRIMONIO COMUNE IN MERCEIl bene comune della Terra fornisce una chiara analisi dei mali che affliggono il pianeta. Il danno viene dall’aver imposto la classificazione dei semi come proprietà privata (Gatt, 1993). La globalizzazione ha poi funzionato come le enclosures of the commons, la recinzione delle terre comuni attuata dagli inglesi in India, momento che segnò l’inizio della fine per i contadini e per la società rurale. Perché questa «privatizzazione subordinata al profitto produce nuove esclusioni, nuove espulsioni e maggiore povertà». Si era compiuta una metamorfosi, nel diciannovesimo secolo: la trasformazione in merce del patrimonio comune. Nasce in questa maniera la segmentazione del popolo in classi economiche. I contadini diventano forza lavoro e offrono le proprie braccia.
La privatizzazione produce esclusione sociale. Su essa viene posto, grazie agli accordi in seno alla World Trade Organization (WTO), sostenuti e finanziati dalla Banca mondiale, il diritto sulla proprietà intellettuale. Le multinazionali si sostituiscono agli Stati e trasformano quello che fino a poco tempo prima era pubblico. Si parte dai semi e si arriva agli OGM, che impoveriscono la terra e sono l’emblema della globalizzazione. Ma controllare l’accesso al cibo non fa bene alla democrazia: è per questo che Shiva parla di «diritto a un controllo democratico del cibo».

IL LOCAL CONTRAPPOSTO AL GLOBAL – Così, il mondo non può che basarsi su relazioni improntate alla forza. L’indebolirsi delle Istituzioni democratiche, conseguenza della privatizzazione, produce fondamentalismo religioso ed estremismo di destra. La ricetta proposta dall’ambientalista indiana è la localizzazione, cioè importare ed esportare solo beni e servizi che non possono essere prodotti localmente. La democrazia si fonda sulle economie locali, è l’unico modo per conservare il libero accesso alla biodiversità, alle sementi e alle risorse idriche.
Le premesse della supremazia commerciale dell’Inghilterra vittoriana stanno nell’opera di depauperamento della società indiana. Nel 1750 l’India era il principale produttore tessile mondiale. Poi nel 1757 il Bengala si arrese e concesse ai sudditi di Sua Maestà la libertà di commercio senza dazi in tutto il subcontinente. La pressione politica e il controllo delle terre avevano avuto la meglio. Venne imposto il blocco dell’export della millenaria attività tessile indiana in favore dei filati di Manchester, più produttivi per via del telaio a vapore e grazie all’acquisto a prezzi di favore del cotone indiano. L’imposizione dei dazi doganali sul mercato inglese fece il resto. Un secolo dopo, nel 1846, l’India quasi non produceva più, ma era costretta a importare dalle isole britanniche. Le compagnie coloniali iniziarono il lavoro e le multinazionali ripercorrono il medesimo schema. La globalizzazione si muove su questi binari.
Shiva analizza il suo mondo, l’India. «La globalizzazione costituisce un’ultima recinzione, quella delle nostre menti, dei nostri cuori, della nostra creatività». Ma se analizziamo i risultati possiamo dire che la globalizzazione non ha portato benefici: mai tante guerre come oggi, nessuna traccia della prosperità globale generalizzata promessa. Anche l’agricoltura non ci aiuta più: oggi, le colture intensive assorbono dieci volte la quantità di energia e di acqua in più rispetto a quelle locali. È il trionfo del mercato sulla libertà.

vandana shiva foto
Vandana Shiva

IL MERCATO DELLE SEMENTI – Quando si è reso illegale conservare le sementi obbligando i contadini indiani ad acquistare quelle ibride della Monsanto si è introdotta una nuova schiavitù. Le sementi vengono vendute allo stesso prezzo dell’America e questo fa lievitare i costi, mentre i prezzi calano per via della liberalizzazione dei commerci. E soprattutto, al contrario di quanto fatto per millenni, non possono più essere conservate. I piccoli produttori agricoli, la maggior parte del totale, si ritrovano con un ridotto potere d’acquisto: in breve diventeranno nullatenenti e cederanno i terreni. Dagli anni Novanta si è assistito in India al proliferare dei suicidi dei produttori. Non ci può essere sviluppo laddove manchi l’accesso ai diritti fondamentali: aria, terra, biodiversità. La lezione di Vandana Shiva è soprattutto morale e cerca di aprire gli occhi ai consumatori “responsabili”. Il Doha Round del WTO del 2001 aveva l’obiettivo di eliminare tutte le barriere tariffarie, tra cui quelle sul commercio dell’acqua. Anche l’oro blu è sotto attacco. Shiva denuncia la necessità di andare verso un nuovo ordine sociale, la Democrazia della Terra, ecologista e protettiva verso ogni forma di vita, il contrario di quello che le Istituzioni fanno. L’agricoltura americana e quella europea ricevono molti sussidi. Ciò consente di abbassare il prezzo creando dumping commerciale nel momento in cui si va a invadere i Paesi del Sud del mondo, che, a loro volta, non possono porre limitazioni alle importazioni per volere dello stesso WTO. La protesta degli Stati poveri, soprattutto africani, ha fatto fallire il vertice di Cancun e ha illustrato le intenzioni dell’Occidente.

LA RIVOLUZIONE VERDE – L’unica via d’uscita è la Rivoluzione verde. Cioè l’abbandono delle colture industriali che omogeneizzano la produzione in favore della consolidata pluricoltura equilibrata, rispettosa della Terra e a rotazione, che impiega molti meno agenti chimici (qualcuno addirittura usato in guerra come l’Agente Arancio in Vietnam) e tutela la biodiversità. E dall’altro lato occorre lavorare sulla coscienza ecologista dei consumatori. Obiettivo dev’essere la conservazione delle riserve idriche e la prevenzione della perdita di fertilità del suolo attraverso un uso intelligente dell’azoto, specialmente grazie alle colture azoto-fissative come le leguminose. In questo modo i gas inquinanti saranno tenuti a bada e l’effetto serra, che genera siccità e inondazioni, si potrà sconfiggere.
Solo così avremo un modello di sviluppo che tutela la vita e promuove la democrazia locale e planetaria. La globalizzazione neoliberista è invece un pericolo perché «deruba milioni di individui del loro diritto alla vita e produce un’instabilità politica che fomenta lo sviluppo di identità negative». È necessario uno sforzo di tutti, per introdurre un nuovo modo di intendere il pianeta, basato sul sentimento della compassione, che potrà darci la necessaria cooperazione finalizzata a consolidare la democrazia e la sostenibilità.

Andrea Martire

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Foto: greensefa

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Andrea Martire
Andrea Martire

Appassionato di America Latina, background in scienze politiche ed economia. Studio le connessioni tra politica e sociale. Per lavoro mi occupo di politiche agrarie e accesso al cibo, di acqua e diritti, di made in Italy e relazioni sindacali. Ho trovato riparo presso Il Caffè Geopolitico, luogo virtuoso che non si accontenta di esistere; vuole eccellere. Ho accettato la sfida e le dedico tutta l’energia che posso, coordinando un gruppo di lavoro che vuole aiutare ad emergere la “cultura degli esteri”. Da cui non possiamo escludere il macro-tema Ambiente, inteso come espressione del godimento dei diritti del singolo e driver delle politiche internazionali, basti pensare all’accesso al cibo o al water-grabbing.

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