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Etiopia: fallito il colpo di Stato, restano le tensioni etniche

In 3 Sorsi – Il tentativo fallito di colpo di Stato avvenuto nella regione federale dell’Amhara e la diffusione del nazionalismo etnico possono creare problemi al processo di riforme e di democratizzazione del Primo Ministro Abiy Ahmed.

1. IL GOLPE

Il 22 giugno 2019 l’Etiopia ha affrontato una grave minaccia alla sicurezza, un tentativo di colpo di Stato in una delle nove regioni etniche del Paese, l’Amhara. Una parte delle forze di sicurezza locale, su ordine del capo della Difesa regionale dell’Amhara, il Generale Asaminew Tsige, ha tentato di rovesciare con la forza il potere locale per raggiungere l’indipendenza da Addis Abeba, attaccando nella capitale Bahir Dar il palazzo governativo, il quartier generale della polizia e la sede del Partito Democratico Amhara, che è il principale movimento politico dello Stato-Regione. Tra le dozzine di vittime provocate dall’azione ci sono anche il Governatore regionale del’Amhara, Ambachew Mekonnen, il Procuratore Generale regionale e un consigliere politico, Ezez Wasie, che erano in riunione presso l’ufficio del Governatore. Quasi contestualmente, dopo l’attacco a Bahir Dar, nella capitale federale Addis Abeba sono stati uccisi anche il Capo di Stato Maggiore delle Forze Armate etiopi, il Generale Seare Mekonnen, e un Generale in pensione, amico di Mekonnen, Gezai Abera, i quali stavano coordinando le forze lealiste impegnate a respingere i golpisti. Entrambi sono stati assassinati presso la residenza privata del Generale Mekonnen per mano di un altro militare, il caporale Mesafint Tigabu, rimasto gravemente ferito in un successivo scontro a fuoco e aiutato dalla guardia del corpo del Capo di Stato Maggiore, che si è suicidato subito dopo l’accaduto. 

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Fig. 1 – La cerimonia funebre tenutasi ad Addis Abeba il 25 giungno 2019 in onore del Generale Seare Mekonnen, Capo di Stato Maggiore della Difesa etiope, e del Generale Gezai Abera

2. LA REAZIONE DEL GOVERNO

Una volta sventato il piano dei “nemici del popolo etiope”, il Primo Ministro Abiy Ahmed con un discorso a rete unificate ha comunicato alla popolazione quanto era accaduto, mostrando una totale fermezza contro i golpisti, rei di voler distruggere l’indipendenza del Paese. Nei giorni immediatamente successivi all’attacco sono state inviate ulteriori forze di sicurezza e di supporto da Addis Abeba verso Bahir Dar con lo scopo di riportare la calma nell’intera regione. Inoltre è scattata una serie di arresti che ha colpito circa 260 militanti del partito National Movement of Amhara, tra cui il portavoce Christian Tadele. Questo movimento, nato nel 2018, ha guadagnato in maniera esponenziale i consensi tra la popolazione locale in quanto promotore del “nazionalismo etnico” degli Amhara a discapito degli altri gruppi presenti nel Paese. 

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Fig. 2 – Il Primo Ministro etiope Abiy Ahmed mentre ragguaglia il Parlamento sul fallito golpe avvenuto nella regione dell’Amhara

3. IL NUOVO PERICOLO PER ABIY AHMED

Seppur fallito, l’attacco è un chiaro campanello d’allarme per il Primo Ministro Abiy Ahmed e per il suo ingente piano di riforme, messo in campo un anno fa. Infatti la politica di pace sociale e di libertĂ  programmata dal Primo Ministro per dare nuova linfa democratica all’Etiopia ha accentuato le divergenze tra i gruppi etnici esistenti, che godendo di un maggior “spazio di manovra” concesso dal Governo Federale, rivendicano nuove autonomie, risorse e peso politico. Basti pensare che il capofila del colpo di stato, il Generale Tsige – ucciso in uno scontro a fuoco con i lealisti il 24 giugno 2019 alla periferia di Bahir Dar – era stato rilasciato nel 2018 a seguito di un’amnistia voluta da Abiy. Si può dedurre che le scelte politiche del Primo Ministro costituiscano un’arma a doppio taglio per la sicurezza del suo Governo. Infine, i cambiamenti apportati da Abiy Ahmed nei ruoli apicali per la gestione di settori chiave come le Forze Armate – il compianto Capo di Stato Maggiore della Difesa era stato nominato dietro precisa volontĂ  del Primo Ministro solo un anno fa –  hanno creato malumori nelle vecchie Ă©lite autocratiche che possono dar luogo nelle realtĂ  locali a tentativi di autonomia e separazione.

Giulio Giomi

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Giulio Giomi
Giulio Giomi

Nato a Livorno nel 1988, mi sono laureato in Relazioni Internazionali presso l’UniversitĂ  LUISS di Roma. Precedentemente, ho ottenuto la laurea triennale in Scienze Politiche e Relazioni Internazionali presso l’UniversitĂ  di Pisa. Sono stato uno stagista presso il NATO Defense College e l’HQ della FAO. Quando non mi occupo di geopolitica, mi dedico alle altre mie due passioni: viaggi e calcio.

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