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Uscire o non uscire? Il dilemma della Brexit

A giugno il Regno Unito vota per decidere se rimanere o uscire dall’Unione Europea. A sostenere la permanenza nell’UE vi è gran parte della comunità politica, della stampa e del mondo dell’imprenditoria. Dall’altra parte, numerosi membri della maggioranza e lo UKIP si sono schierati a favore del “leave”. Entrambe le fazioni hanno fatto ricorso a diversi argomenti di tipo economico per convincere il popolo britannico

IL CONTESTO – La costante crescita nei sondaggi elettorali dello UKIP (Partito per l’Indipendenza del Regno Unito), nonché l’ormai storico euroscetticismo del popolo britannico (o meglio, del popolo inglese), portarono David Cameron, Primo ministro del Regno Unito ed esponente dell’ala “moderata” e meno indisposta verso l’Europa ad annunciare, nel gennaio 2013, l’indizione di un referendum per risolvere definitivamente la questione dell’appartenenza britannica all’Unione Europea. Negli ultimi mesi è stata fissata la data al 23 giugno 2016 e, soprattutto, si sono delineati gli schieramenti politici a favore e contro la proposta. Da una parte troviamo lo UKIP e buona parte del partito conservatore, incluso il popolare sindaco (ormai uscente) di Londra Boris Johnson a sostenere il “Leave“. Dall’altra parte, laburisti, liberal-democratici, verdi e la restante parte dei conservatori, inclusi i principali esponenti del Governo e lo stesso Cameron, a favore del “Remain“. Il principale punto di divergenza tra le due fazioni rimangono le prospettive economiche di un’eventuale uscita dal mercato unico europeo. Mentre i sostenitori della permanenza nell’Unione Europea sostengono che le ripercussioni nel breve-medio termine potrebbero portare a una situazione di forte instabilità, i fautori di un’uscita sostengono che questi rischi siano ampiamente sopravvalutati.

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Fig. 1 – Nigel Farage, leader dello UKIP, il principale partito politico di orientamento euroscettico in Inghilterra

RESTARE IN EUROPA: LA GRANDE COALIZIONE – A sostenere la permanenza nell’Unione Europea è gran parte dei protagonisti della vita pubblica britannica. Oltre alla vasta maggioranza degli attori politici, vi sono i principali quotidiani nazionali di svariate tendenze politiche, nonché numerosi imprenditori, ONG ed organizzazioni internazionali. In particolar modo, la maggior parte degli economisti sembra sostenere la causa dell’Unione. All’inizio del 2016, infatti, un sondaggio tra 100 esperti in materia ha rivelato che più dei tre quarti degli interrogati riteneva che l’uscita dall’UE avrebbe portato a ripercussioni negative per le prospettive economiche di medio termine. Nel complesso, si ritiene infatti che l’appartenenza all’Unione europea abbia portato ad una crescita della concorrenza e dell’innovazione in terra britannica negli ultimi quarant’anni. Allo stesso tempo, il Paese rimane il principale destinatario di investimenti esteri all’interno dell’Unione, specialmente nel settore dei servizi, beneficiando delle regole europee. Il mercato unico, quindi, avrebbe portato benefici notevoli al Regno Unito, che non sarebbero stati possibili senza un certo livello di rinuncia alla propria sovranità. Viene fatto notare, inoltre, che in caso di uscita il Regno Unito dovrebbe immediatamente negoziare un nuovo accordo con l’Unione europea: qualora volesse ritornare nel mercato unico dovrebbe sottoporsi nuovamente alle restrizioni attualmente esistenti, senza però avere voce in capitolo nelle decisioni prese a livello europeo. Restando fuori dal mercato unico, invece, le conseguenze economiche potrebbero risultare molto pesanti per l’economia britannica. Inoltre, sarebbe necessario negoziare nuovi accordi bilaterali con i Paesi al di fuori dell’area europea. Viene fatto notare, a questo proposito, che l’economia britannica, essendo di gran lunga meno significativa rispetto alla totalità del blocco europeo, non sarebbe una priorità per Paesi come Stati Uniti e Cina. Il peggior scenario dipinto in caso di una “Brexit” è quello di una sofferenza prolungata dell’economia. Secondo l’OCSE (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico), infatti, l’uscita si tradurrebbe in uno shock negativo per l’economia, con ricadute anche sui restanti Stati europei, che si tradurrebbe infine in una “tassa costante su PIL”. In questo contesto le negoziazioni per l’uscita risulterebbero piene di difficoltà, e porterebbero infine ad una relazione commerciale con l’Unione Europea nettamente peggiore rispetto alla situazione attuale. L’andamento economico generale, quindi, comincerebbe a retrocedere rispetto a quello dei partner europei, portando al ritorno di una situazione simile a quella degli anni Settanta, prima dell’ingresso britannico nell’Unione. Lo scenario paventato più comunemente dagli stessi detrattori del Brexit, ad ogni modo, è quello di un danno nel complesso lieve all’economia, specialmente nel medio termine, più ottimista rispetto alle previsioni OCSE.

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Fig. 2 – Cameron, Miliband (ex leader del Partito Laburista) e Clegg (ex leader dei Liberal Democratici). I tre si sono schierati, in momenti diversi, a favore della permanenza del Regno Unito nell’Unione.

BREXIT: INCERTEZZE E SPERANZE – Negli ultimi mesi, la campagna per l’uscita dall’Unione Europea ha più volte ripetuto che i rischi ipotizzati da gran parte della comunità economica sono ampiamente sovrastimati. In particolare viene fatto notare che gli economisti sono naturalmente portati a guardare con sospetto ai periodi di transizione. Inoltre, rispetto ai politici questi tenderebbero a sottovalutare l’importanza di tematiche chiave che non rientrano direttamente nell’ambito economico, come l’importanza della sovranità nazionale. Oggettivamente, i principali vantaggi in caso di una Brexit consisterebbero nel risparmio sui fondi destinati annualmente all’Unione Europea (per circa 10 miliardi di sterline) e un limite all’immigrazione dei lavoratori meno qualificati. Ciononostante, il clima di incertezza generato dalle nuove circostanze potrebbe rendere vano il risparmio effettuato, mentre l’interruzione del flusso di manodopera a basso costo potrebbe comportare seri problemi per i settori dell’economia più dipendenti dalla migrazione. Lo scenario più favorevole prospettato da una minoranza di economisti, imprenditori e politici vede una Gran Bretagna che esce dall’Unione senza particolari sofferenze, evitando una situazione di caos economico nel breve termine e ottenendo alti tassi di crescita nel giro di pochi anni. I principali sostenitori della campagna per restare nell’Unione sono stati inoltre accusati di aver alimentato un clima di paura, inventando periodicamente una nuova, maggiore minaccia per assicurarsi un esito positivo dal referendum di giugno. A questo proposito, viene ricordato che gli osservatori neutrali stanno correggendo al ribasso le previsioni negative degli “allarmisti” filoeuropei.
Complessivamente, ad ogni modo, la campagna per l’indipendenza del Regno Unito continua a godere di una certa debolezza, dovuta sia alla mancanza di appoggio da parte di figure internazionali di rilievo, sia ad alcune dichiarazioni discutibili dello stesso Johnson nel corso delle scorse settimane, per cui sembra mancare una leadership effettiva per il movimento. Se questo porterà ad una sconfitta al momento del voto è ancora tutto da vedere.

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Fig. 2 – Boris Johnson, sindaco uscente di Londra e leader della campagna per l’uscita dall’UE  

Michele Boaretto

[box type=”shadow” align=”aligncenter” class=”” width=””]Un chicco in più 

  • Rispetto al simile referendum del 1975, le motivazioni per uscire dall’Europa sono profondamente cambiate. Quarant’anni fa, infatti, si cercava di ritornare ad un certo livello di protezionismo economico, mentre ora l’obiettivo sembra essere un maggior grado di libero commercio.
  • Lo stesso Presidente Obama, poche settimane fa, si è apertamente schierato a favore della campagna pro-Unione Europea, dichiarando che la negoziazione di un accordo economico con il Regno Unito in caso di Brexit sarebbe l’ultima delle priorità statunitensi.
  • Un’eventuale vittoria del fronte per l’indipendenza avrebbe forti ripercussioni politiche a livello nazionale. È infatti facile immaginare una staffetta alla guida del Governo tra David Cameron e Boris Johnson.

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Foto: European Parliament

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Michele Boaretto
Michele Boaretto

Nato a Padova nel 1994. Studio Relazioni Internazionali all’Università di Manchester, in precedenza ho studiato per un semestre in Spagna (Universidad Complutense) oltre ad aver studiato inglese per un anno in Canada. Particolarmente interessato alla politica statunitense ed europea, per il Caffè Geopolitico mi occupo principalmente di economia politica e di politica nordamericana.

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