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Senkaku-Diaoyu: la partita a scacchi dell’Estremo Oriente

Il Mar Cinese Orientale è scosso da tumulto e incertezza. Shinzo Abe condanna la decisione cinese di istituire una ‘Air Defence Identification Zone’ (ADIZ). Una furiosa Pechino replica decisa alle dichiarazioni del Primo Ministro giapponese convocando a colloquio l’Ambasciatore nipponico. E proprio come nella più celebre delle opere di Hokusai, le acque si gonfiano e il vento soffia impetuoso. Infine eccola: l’Onda del cambiamento si abbatte sull’Estremo Oriente.

 

PECHINO MUOVE – Riprende la partita a scacchi dunque, ma con un’anomalia. Questa volta i giocatori sono più di due e il numero sembra aumentare con il passare delle ore…

L’oggetto della tensione tra le due più influenti potenze della regione è rappresentato da un gruppo di isole, situate nel Mar Cinese Orientale. Da tempo le Senkaku (Diaoyu in cinese) sono motivo di contenzioso tra le Amministrazioni dei due giganti asiatici. Sabato scorso, la svolta. Il 23 novembre Pechino dichiara, tramite un comunicato ufficiale, di aver stabilito una ADIZ (che va a sovrapporsi a quelle preesistenti di Giappone e Corea del Sud). Tale zona di identificazione aerea viene istituita in maniera unilaterale, senza previa consultazione con i partner regionali. A differenza delle altre ADIZ, quella cinese sembra inoltre richiedere ai velivoli in attraversamento di entrare in contatto radio con le Autorità preposte, indifferentemente dalla direzione percorsa, anche per i voli tenuti parallelamente alla costa. In caso di mancata comunicazione verrà data l’autorizzazione ai velivoli da combattimento di abbattere il bersaglio, se necessario. Una mossa chiaramente compiuta con l’intento ultimo di riaffermare la sovranità cinese sull’arcipelago. Il 24 novembre l’aeronautica militare cinese comunica di aver fatto decollare i propri caccia per un primo volo di ricognizione.

 

TOKYO RISPONDE – Ma è solo a partire da lunedì 25 novembre che la partita entra nel vivo, rendendo la situazione altamente instabile. Il primo ministro giapponese Shinzo Abe, infatti, alza i toni della conversazione dichiarando in Parlamento che la decisione cinese di istituire una ADIZ costituisce un’azione «senza validità alcuna per il Giappone». Un’affermazione roboante quella di Abe, purtroppo minata in partenza dei comunicati rilasciati dalle maggiori compagnie aeree del Paese. La Japan Airlines (JAL) e la Nippon Airways avrebbero difatti dichiarato di essersi già messe in contatto con le autorità cinesi (Civil Aviation Administration of China) per la notifica dei voli che passeranno sulla neo costituita zona d’identificazione, dovendo coprire le tratte per Taiwan e Sudest Asiatico. Il portavoce di JAL ha specificato che «la compagnia non ha nulla da dire in merito alla decisione presa dal Governo cinese. Ma dobbiamo seguire le procedure per garantire la sicurezza delle nostre rotte». Le dichiarazioni sono subito ritirate mercoledì 27 novembre, dopo aver ricevuto disposizioni da Tokyo. Tuttavia, lo stesso giorno, il portavoce del dipartimento di Stato americano, Jennifer Psaki, ha sostenuto nel corso di una conferenza stampa che sebbene «si stia ancora cercando di determinare se le nuove regole» di Pechino «si applichino all’aviazione civile», il Governo statunitense «richiede, con le ultime disposizioni, che le compagnie aeree americane adottino tutte le misure da loro considerate necessarie per poter operare con sicurezza nella regione del Mar Cinese Orientale».

Facendo riferimento alla possibilità che l’escalation di tensione sfoci in un conflitto, il professor Shi Yinhong, docente alla School of International Studies (China’s Renmin University) ha dichiarato che «sebbene Tokyo, Pechino e Washington cercheranno in ogni modo di evitare la guerra, il raggiungimento di questo momento era inevitabile secondo una prospettiva di lungo periodo in quanto» il controllo delle Senkaku/Diaoyu «rientra nella strategia politica di espansione della Cina». A ogni modo, ciò che è chiaro è che il Politburo cinese sta portando avanti un gioco potenzialmente molto pericoloso. È possibile che la Repubblica popolare cinese si stia dunque servendo della disputa territoriale con il Giappone come strumento per creare una breccia nell’alleanza nipponico-americana. Consapevole delle difficoltà economiche in cui versano gli Stati Uniti, Pechino sembra aver deciso di muovere le proprie pedine per osservare, poi, la mossa avversaria.

 

UNA POTENZA ‘PACIFICA’ – E la risposta non si è fatta attendere. Martedì 26 novembre il Pentagono ha lanciato un messaggio fortissimo, inviando due bombardieri B-52 (non armati) a sorvolare la neo costituita ADIZ cinese senza entrare in contatto radio con alcun soggetto. A rincarare la dose ci ha poi pensato l’attuale segretario della Difesa degli Stati Uniti Chuck Hagel dichiarando che il comportamento cinese è visto dall’America come «un tentativo destabilizzante di alterare lo status quo della regione». Parole che non sconvolgono a ogni modo, data l’ormai risaputa volontà statunitense di giocare la partita asiatica. Nell’ormai lontano 2011, il presidente Obama in visita a Canberra dichiarava che «gli Stati Uniti sono una potenza del Pacifico e ci troviamo qui», nel Pacifico, «per restare».

 

IL QUARTO INCOMODO – Ma non è tutto. Mentre da Londra gli addetti ai lavori suggeriscono che le possibilità di un tradizionale conflitto sino-americano siano «minime», il colpo di scena vero e proprio lo riserva la Corea del Sud, muovendo le proprie pedine. È documentato, infatti, che martedì 26 novembre l’esercito sudcoreano ha inviato un velivolo da combattimento per sorvolare una delle rocce facenti parte dell’arcipelago delle Senkaku/Diaoyu. Una mossa poco rilevante forse (dato il calibro dei soggetti in gioco), ma che fa comunque capire quanto il confronto tra i due giganti asiatici (e gli States) sia costantemente tenuto sotto osservazione degli altri attori della regione.

 

La mappa della discordia
La mappa della discordia –  Fonte: Stratfor

CONCLUSIONI – Si è parlato più volte di escalation, negli ultimi giorni. Di certo la decisione del 29 novembre da parte delle Autorità cinesi di inviare i caccia Su-30 e J-11 sulla ADIZ (al fine di identificare possibili intrusi) aumenta in maniera esponenziale il rischio che si verifichino “incidenti” di percorso. La prima economia dell’Estremo Oriente sembra volersi di nuovo affidare a quella che alcuni generali hanno ormai definito la «Strategia del Cavolo», il cui modus operandi consiste nel presidiare la zona d’interesse con navi e aerei da combattimento in modo tale da impedirne l’accesso ad altre potenze e istituire così un controllo de facto sull’area senza arrivare, possibilmente, a un conflitto. Il rischio, tuttavia, è che la Repubblica popolare cinese si sia spinta troppo oltre, alimentando una spirale di nazionalismo in patria che rischia di creare disordini qualora non si riesca a raggiungere l’obiettivo prestabilito. Il Giappone infatti sembra non voler cedere terreno, forte dell’appoggio statunitense. Il I dicembre è stata una data importante tanto per le Senkaku/Diaoyu quanto per la regione intera. La scorsa domenica, infatti, ha avuto inizio il viaggio del vice presidente americano in Estremo Oriente. Ed è da Tokyo, più precisamente martedì 3 dicembre, che Joe Biden ha criticato il comportamento della Cina, la quale avendo istituito questo tipo di ADIZ non avrebbe fatto altro che aumentare la tensione già alta e il rischio di incidenti nella regione. Tali dichiarazioni, tuttavia, non sono state seguite da una richiesta ufficiale (da parte del Governo statunitense) di rimozione dell’ADIZ cinese. Operando in questo modo Washington dà a Pechino modo di ergersi al rango di potenza regionale. Nel frattempo Joe Biden è atterrato nella capitale cinese (mercoledì 4 dicembre). Ciò che rimane da verificare è se l’amministrazione Obama deciderà di tenere la linea di condotta a basso profilo anche nel corso di questo ennesimo viaggio o se opterà per un comportamento assertivo e meno tollerante nei confronti di una Cina sempre più ingombrante. Gli States, ancora una volta, si muovono su un terreno che non è il loro sapendo che non possono perdere la partita del Pacifico. Il destino dell’intera regione è appeso a un filo, tanto sottile quanto elastico (si spera): è in corso una guerra di nervi nel Far East

 

Andrea Braga

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Andrea Braga
Andrea Braga

Laureato in Lingue e Relazioni Internazionali, vince il bando MAE-Crui grazie al quale ottiene l’opportunità di lavorare a Beijing presso l’Ufficio Economico-Commerciale dell’Ambasciata Italiana. Vivendo i mesi invernali della capitale cinese impara a combattere freddo, smog e incertezze. Terminata l’esperienza a Pechino decide poi di fare rotta verso la Svizzera per seguire le sue due grandi passioni: economia e storia. Ha lavorato a Londra presso l’International Economics Department di Chatham House – The Royal Institute of International Affairs e a Milano per Pirelli Tyre SpA. Conclusi gli studi specialistici in Economia e Politiche Internazionali oggi si occupa di Business Development per l’area Asia Pacific ed affronta un mondo scosso dal cambiamento, cercando nuove rotte da seguire.

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